In attesa del testo definitivo, una prima informale messa in consultazione dello schema fornisce alcune importanti indicazioni sulla strutturazione finale dell’obbligo di assicurazione contro le catastrofi naturali approvato con la legge di Bilancio dello scorso anno. Non mancano le criticità, ma taluni scetticismi sembrano esagerati
Con l’approssimarsi del primo gennaio 2025, data di effettiva operatività dell’obbligo di assicurazione previsto dalla legge di Bilancio 213/2023 in relazione ai rischi derivanti da calamità naturali ed eventi catastrofali, prosegue alacremente la (complessa) attività di messa a punto della regolamentazione attuativa destinata a precisare le coordinate sostanziali e applicative delle nuove coperture obbligatorie. Ci riferiamo al decreto attuativo del Mef e del Mimit che, previsto dall’articolo 1 comma 105 della legge di Bilancio, dovrà stabilire, sentito Ivass, alcuni aspetti nevralgici lasciati aperti dalla norma primaria, con particolare, ma non esclusivo, riferimento ad alcuni profili contenutistici delle polizze, ai criteri di individuazione degli eventi calamitosi e catastrofali suscettibili di indennizzo, alla determinazione e all’adeguamento periodico dei premi, nonché ai limiti della capacità di assunzione del rischio da parte delle compagnie assicurative chiamate a coprirlo, individualmente o in forma consortile.
Ebbene, tenuto conto della necessità di prevedere un periodo transitorio per consentire agli stakeholder interessati (imprese produttive, obbligate ad assicurarsi, e compagnie di assicurazione, assoggettate a un vero e proprio obbligo a contrarre) di adeguarsi alle nuove prescrizioni di legge, è lecito attendersi il completamento della normativa e l’emanazione del decreto, al più tardi, il prossimo autunno.
UNA CONSULTAZIONE INFORMALE
In questo senso si pone e si registra la prima informale messa in consultazione, tra i player del comparto assicurativo, di uno schema di decreto che costituisce una robusta traccia indicativa della direzione che ragionevolmente sarà perseguita nel testo definitivo di prossima definizione. Ne faremo cenno in seguito, senza alcuna pretesa di completezza né di profondità di analisi, trattandosi allo stato (di niente più che) di una bozza informale di provvedimento, in corso di ulteriore rielaborazione. L’occasione è, peraltro, utile per fare il punto della situazione e porre sul tavolo alcuni tra i temi più caldi di cui si va discutendo (o di cui si dovrebbe, quantomeno, discutere).
Muoviamo dunque dal declinare l’ovvio ricordando che la nuova previsione di legge trae origine da un datatissimo dibattito e da una ancor più risalente consapevolezza dell’assoluta urgenza di affrontare il tema dei danni sociali arrecati al sistema paese e alla collettività dalla particolare frequenza con cui il nostro territorio nazionale registra fenomeni naturali calamitosi di una certa entità.
Come rilevato da Ivass nel suo bel lavoro dello scorso giugno (Indagine sulle polizze a copertura dei rischi catastrofali), l’Italia, pur essendo più esposta a frane, terremoti e inondazioni rispetto a molti altri paesi europei, si connota per un bassissimo livello di protezione assicurativa, scontando anche in questo settore il prezzo di una disinformazione e di una scarsa cultura del rischio.
Da tempo, dunque, si è attenzionata l’esigenza di dover indurre forzosamente i cittadini a scelte di copertura che, ove lasciate alla loro sensibilità (e disponibilità economica…), non sono state mai, in passato, prese in adeguata considerazione.
LE CAUSE DELL’ACCELERAZIONE
Di qui l’idea di costruire, attraverso l’introduzione di obblighi di legge, una platea di assicurati tanto ampia da garantire un efficace gioco della mutualità, tale da consentire, per effetto dei volumi di copertura, l’accesso alle tutele assicurative a condizioni di premio calmierate e accessibili. Il tema, naturalmente, riguarda non solo gli interessi particolari dei cittadini e delle imprese operanti sul territorio, ma la stessa tenuta dei bilanci pubblici e del nostro sistema di welfare, messi frequentemente in ginocchio dagli interventi indennitari allestiti in occasione degli eventi catastrofali che hanno in questi ultimi decenni toccato il nostro paese. L’allestimento di meccanismi di protezione assicurativa ex lege condurrebbe alla correlativa diminuzione dei pesi addossati alle casse pubbliche, che non andrebbero più a risarcire danni già coperti e sostenuti dalla mutualità privatistica obbligatoria. Il fatto poi che gli eventi calamitosi naturali nel corso degli ultimi anni si sono intensificati, anche per effetto dei più recenti cambiamenti climatici, ha dato l’impulso finale ad accelerare il disegno legislativo, specie a seguito delle catastrofi alluvionali registratesi nel corso del 2023. Tale disegno, concretizzatosi nella legge di Bilancio, non è stato però universale ma circoscritto soggettivamente (in questa fase forse iniziale di un più ampio progetto) alle imprese produttive con sede legale in Italia e alle imprese aventi sede legale all’estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all’iscrizione nel relativo registro.
Anche sotto il profilo oggettivo il rischio è stato delimitato a determinati eventi naturali (sismi, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni) e a ben individuati beni produttivi, quali i terreni e i fabbricati, gli impianti e i macchinari, le attrezzature industriali e commerciali. Non a caso quei beni normalmente resi oggetto di un intervento indennitario pubblico che non riguarda i danni da perdita di redditività produttiva o mancato guadagno (business interruption).
NOTEVOLI POSSIBILITÀ DI SVILUPPO
Si tratta, insomma, di un (buon) inizio, assolutamente rilevante sul piano delle intenzioni e delle prospettive, ma tutto da verificare sotto il profilo della sua concreta messa a terra e della possibilità di costituire il movente verso una più generale ed estesa copertura dei rischi naturali, anche in relazione alle abitazioni personali dei cittadini.
Sotto il profilo della disciplina assicurativa la materia si presta a svariate analisi e dà luogo ad alcune complessità tecniche di non facilissima gestione. Proveremo, qui, a darne velocissimo cenno, nell’attesa di conoscere, una volta licenziato il decreto ministeriale attuativo, il quadro regolamentare più completo.
Sin d’ora, però, possiamo dar conto delle notevoli possibilità di sviluppo che questo nuovo obbligo fornisce al mercato assicurativo, sul piano delle opportunità commerciali e delle numeriche potenzialmente raggiungibili. Dovendosi però tener conto dell’enorme ammontare dei potenziali danni a cui le compagnie devono far fronte per assicurare le imprese dalle catastrofi naturali e della già menzionata scarsissima propensione assicurativa sin qui dimostrata dai soggetti interessati (secondo quanto riportato dall’Ania, solo il 6% delle abitazioni e il 5% delle aziende risultano oggi coperte).
UN NUOVO ACCESSO ALLE PMI
Non vi è dubbio comunque che, una volta a regime, il nuovo obbligo di legge costituirà per il mercato assicurativo che intenda investire sul ramo una notevole possibilità di accesso al mondo delle imprese, e in particolare di quelle imprese piccole e medie che ancora oggi presentano un gap culturale, in materia di rischio, significativo. Il perimetro oggettivo ben delimitato, e piuttosto essenziale, delle nuove coperture di legge fornirà dunque il destro per presentare alla platea dei soggetti obbligati ad assicurarsi piani di garanzia più ampi e trasversali, volti ad intercettare rischi che, sotto il profilo eventistico e del danno coperto, non rientrano oggi nell’ambito delle polizze obbligatorie (il pensiero corre, all’evidenza, a rischi eccentrici, quali ad esempio la pandemia, e a danni particolari, quali quelli da business interruption).
Il tutto, ovviamente, dovendo fare i conti con la particolare disciplina dell’obbligo a contrarre; un obbligo che, nella sua disciplina attuale in materia di Rc auto, pone vincoli importanti alla libera operatività delle imprese, anche in tema di (divieto di) abbinamento di soluzioni di copertura ulteriori rispetto a quelle rese oggetto dell’obbligo di legge.
Ciò detto, passiamo a una rapida disamina delle coordinate di legge, che ci fornirà spunto per qualche riflessione critica.
LE IMPRESE CHE DEVONO ASSICURARSI
Quanto al perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione della norma, l’art, 1, comma 101, della legge 213/2023 individua nei soggetti obbligati ad assicurarsi tutte le imprese tenute a iscriversi al relativo registro (art. 2188 del Codice civile) a eccezione di quelle agricole, per le quali opera il fondo mutualistico Agricat. La profondità e l’estensione della norma perseguono lo scopo di far coprire il rischio di catastrofi naturali non tanto alle imprese di grande dimensioni, che già sono in buona parte attrezzate in tal senso, ma soprattutto a quel segmento di clientela costituito dalle Pmi, presso le quali la cultura della prevenzione e della tutela assicurativa risulta a tutt’oggi scarsamente radicata.
Quali imprese sono dunque tenute ad assicurarsi?
L’articolo 2195 del Codice civile stabilisce, in particolare, che sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi (2135 c.c.);
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni (2203 c.c.);
3) un’attività di trasporto per terra (1678 c.c.), per acqua o per aria;
4) un’attività bancaria (1834 c.c.) o assicurativa (1882, 1883 c.c.);
5) altre attività ausiliarie delle precedenti (1754 c.c.).
Sono soggette all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti del titolo V del Codice, ossia Snc, Sas, Spa e Srl e le società cooperative, anche se non esercitano un’attività commerciale (2200 c.c.), gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale (2201c.c.). Al contrario, non devono iscriversi al registro delle imprese, e dunque non sono tenute ad assicurarsi, i piccoli imprenditori, i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
QUALI BENI OCCORRE ASSICURARE
Quanto ai beni oggetto di copertura, l’art.1, comma 101 della legge 213/2023 prevede che la polizza sia stipulato a “copertura dei danni ai beni di cui all’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del Codice civile”. Trattasi delle immobilizzazioni materiali costituite da terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature industriali e commerciali. Nella voce terreni sono ricomprese, a mero titolo di esempio, le pertinenze fondiarie degli stabilimenti, i terreni su cui insistono i fabbricati, fondi e terreni agricoli, moli, ormeggi e banchine, cave, terreni estrattivi e minerari, sorgenti. Non rientrano, invece, nel perimetro oggettivo dell’obbligo le merci, in quanto rientranti nella voce di bilancio attivo circolante.
Il rinvio alla classificazione bilancistica sembra circoscrivere la copertura ai soli beni di proprietà, con esclusione dei beni detenuti in leasing (e, a maggior ragione, in locazione o comodato). È però il caso di segnalare come lo schema di decreto attuativo opti per una formula più ampia e tesa, comunque, a promuovere la copertura del rischio, prevedendo che, quando il bene non sia già stato assicurato dal proprietario, l’obbligo ricada sull’impresa affittuaria (il che presuppone che l’assolvimento dell’obbligo possa essere oggetto di regolamentazione inter partes all’atto della stipula del contratto di affitto). Lo stesso schema di decreto precisa che tra i beni oggetto di garanzia debbano essere esclusi i veicoli iscritti al Pra, il che assume un certo significato per quelle imprese attive nel settore dell’automotive che mantengono sui loro piazzali flotte di veicoli che, pur decisamente esposti ai rischi naturali, non dovranno essere obbligatoriamente assicurati.
UNA FORMULAZIONE AMBIGUA
L’art. 1, comma 106, della legge 213/2023 prevede poi che “l’obbligo di cui al comma 101 non si applica alle imprese i cui beni immobili risultino gravati da abuso edilizio o costruiti in carenza delle autorizzazioni previste, ovvero gravati da abuso sorto successivamente alla data di costruzione”. La formulazione di tale comma non è del tutto chiara ed è anzi precaria e mal scritta, lasciando quasi intendere che le imprese che presentino le segnalate irregolarità possano sottrarsi all’obbligo di legge. O che la perfetta regolarità amministrativa sia condizione di assicurabilità di una data impresa, in assenza della quale non sarebbe possibile assicurarla anche in relazione a immobili e beni perfettamente regolari. Lo schema di decreto pare invece, assai più opportunamente, correggere il tiro, trattando la questione alla stregua di una specifica esclusione di garanzia, relativa non all’impresa nel suo insieme, ma al singolo bene non conforme a norma.
LA DIFFERENZA TRA CALAMITÀ NATURALI ED EVENTI CATASTROFALI
Per quel che attiene alla delimitazione eventistica del rischio, le calamità naturali e le catastrofi oggetto sono i sismi, le alluvioni, le frane, le inondazioni e le esondazioni. Si tratta di una selezione tra eventi di tale portata che, in base all’art. 1912 c.c., non rientrerebbero altrimenti, salvo espressa inclusione pattizia, tra i rischi assicurabili, in quanto caratterizzati da cadenza tanto irregolare da sfuggire all’osservazione statistica, e tanto gravi e profondi, sul piano degli effetti distruttivi, da non essere mutualizzabili se non a fronte di una loro larghissima mutualizzazione. Mutualizzazione che solo l’imposizione di un obbligo assicurativo a una platea sufficientemente ampia (quale ad esempio quella delle imprese) può, forse, garantire.
Quanto all’espressione “calamità naturali ed eventi catastrofali”, si tratta di comprendere se tali lemmi possano essere considerati sinonimi. A ben vedere, mentre per “calamità naturale” deve intendersi ogni fatto catastrofico, ragionevolmente imprevedibile, conseguente a eventi determinanti e a fattori predisponenti tutti di ordine naturale, e a loro volta ragionevolmente imprevedibili, nell’espressione “evento catastrofale” dovrebbe rientrare l’evento di rara frequenza ma di gravissima profondità dannosa che, nel linguaggio comune, si verifica in occasione di sciagure o disastri di particolare gravità che si abbattono su una comunità. E dunque dalla distinzione appena descritta emerge come l’evento catastrofale possa non trovare necessariamente fondamento in una causa naturale: si pensi a una guerra, all’insurrezione o all’incidente nucleare.
IL PRINCIPIO DELLA COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
Nella norma in esame, il legislatore ha inteso l’evento catastrofale come evento naturale attraverso una elencazione da intendersi in modo tassativo. Lo schema di decreto fornisce alcune più granulari definizioni di ciascuno di tali eventi, prevedendo inoltre che, per esser coperti, gli stessi debbano essere oggetto di un provvedimento formale con cui l’autorità determini, per un dato territorio, uno stato di emergenza o di calamità. Ciò discenderebbe dalla finalità bifasica della norma, che mira a sostenere, oltre che gli interessi risarcitori degli enti colpiti dagli eventi, anche le casse dell’erario, i cui interventi straordinari (volti a indennizzare i danni verificatisi in determinate aree ben localizzate previa dichiarazione pubblica dello stato di emergenza) saranno attenuati e contenuti, in quanto in parte surrogati dagli indennizzi garantiti imprese dalle polizze obbligatorie. Varrà, al riguardo, il principio della cosiddetta compensatio lucri cum damno, che vieta la duplicazione di indennizzi e che, soprattutto, impone la regola secondo la quale il risarcimento del danno non può esser tale da superare la propria funzione reintegrativa e non deve far conseguire al danneggiato un vantaggio rispetto allo status quo ante: l’indennizzo pubblico, perciò, dovrebbe limitarsi a coprire eventuali eccedenze rispetto a quanto liquidato in priorità all’impresa danneggiata dalla polizza obbligatoria.
È opportuno, sul punto, osservare come l’art. 1 comma 102 della legge 213/2023 preveda che “dell’inadempimento dell’obbligo di assicurazione da parte delle imprese […] si deve tener conto nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a valere su risorse pubbliche, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali”. Il che introduce, quale indiretta sanzione per la violazione dell’obbligo, la perdita di sostegni pubblici destinate alle imprese anche, ma non solo (!), in occasione di eventi naturali straordinari.
L’INDENNIZZO È SOLO PER I DANNI DIRETTI
Il decreto attuativo si occuperà di stabilire meglio, presumibilmente, entro quali limiti fenomeni temporalmente discontinui, ma tra loro ravvicinati, possano ricondursi a un unico evento assicurato (il che, evidentemente, può impattare sui limiti massimi dell’indennizzo dovuto). E andrà a descrivere, in linea di massima, quali siano le conseguenze di danno escluse dal perimetro di polizza in quanto non direttamente correlate, dal punto di vista del rapporto di causalità adeguata, al fenomeno calamitoso oggetto di garanzia. E invero, quanto ai danni indennizzabili, la legge 213/2023 si riferisce espressamente ai danni “direttamente” cagionati dagli eventi sopra elencati. L’avverbio direttamente non dovrebbe essere inteso in senso civilistico, ma in senso assicurativo.
Ricorderemo, al riguardo, come non valgano qui i criteri della causalità civilistica, genericamente dettati dall’art. 1223 c.c. (che dispone che il risarcimento comprende il danno emergente e il lucro cessante in quanto conseguenze immediate e dirette del danno stesso). In materia assicurativa vale invece quanto stabilito dall’art. 1905, comma 2, c.c., ossia che “l’assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato”. Pertanto, a livello assicurativo, il danno da indennizzare, stando al tenore letterale della disposizione, dovrebbe essere solo quello che riguarda la cosa nella sua materialità, e dovrebbe ritenersi escluso dal perimetro della copertura obbligatoria il danno da interruzione/sospensione dell’attività e qualsiasi altra voce di danno che attenga al lucro cessante (ferma restando, ovviamente, la possibilità di includere tali poste attraverso una formula di garanzia accessoria).
COSA NE SARÀ DELLE GRANDINATE E DELLE BOMBE D’ACQUA
Per quel che attiene invece alle spese di ricostruzione, demolizione, rimozione di materiali (e altre consimili), riterremmo che le stesse, rientrando tra i costi da sostenersi per rimettere i beni danneggiati in pristino stato, possano essere oggetto di copertura obbligatoria. D’altra parte, se l’indennizzo fosse reso in forma specifica (come sempre possibile ex art. 2058 c.c., ad esempio ponendo a carico dell’impresa assicurativa i lavori di ripristino del fabbricato danneggiato), tali voci di danno sarebbero tutte sostenute dalla compagnia al fine di conseguire il risultato risarcitorio dovuto (per ricostruire il fabbricato, andrebbero rimosse le merci in esso presenti, sostenuti gli oneri di urbanizzazione e, a tal fine, avvalersi di tutte le competenze tecnico professionali necessarie).
Ancora con riferimento all’elenco degli eventi atmosferici descritto dall’art. 1, comma 101 della legge 213/2023, è possibile notare come la scelta sia stata quella di escludere la grandine, nonostante nel 2023 tale evento atmosferico abbia causato un ingente e considerevole numero di danni, nonché dalle trombe d’aria (windstorm) e dalle bombe d’acqua (flash flood).
Dall’indagine condotta da Ivass, pubblicata a giugno, relativa alle polizze a copertura dei rischi catastrofali, è emerso come le soluzioni a oggi presenti sul mercato non contemplino la copertura per l’esondazione e, al contrario, garantiscano dai danni subiti in caso di alluvione. La scelta del legislatore è stata dunque quella di inserire nel novero dei rischi da coprire eventi tradizionalmente non coperti e, al contempo, di escludere alcuni di quelli ricompresi. Si tratterà di comprendere meglio se la decretazione attuativa arricchirà o meno il novero degli eventi e relatività modalità di verificazione (al momento lo schema di decreto esclude espressamente le bombe d’acqua).
FRANCHIGIE, SCOPERTI E OBBLIGO A CONTRARRE
L’art. 1, comma 104, della legge pone un limite all’eventuale scopertura contrattuale, prevedendo uno scoperto o una franchigia non superiore al 15% del danno. L’art. 7 dello schema di decreto, facendo salvo quanto previsto dalla fonte di rango primario, lascia alla libera pattuizione delle parti l’identificazione dei limiti di franchigia (non superiore al 5% della somma assicurata) e scoperto (non superiore al 15% del danno), nonché dei limiti di indennizzo suddivisi per fasce di valore della somma assicurata.
Veniamo, a questo punto, ad analizzare i temi dal punto di vista delle imprese assicurative, chiamate a partecipare all’operazione non in termini opzionali ma in forza di un vero e proprio obbligo a contrarre. È questo il secondo caso, dopo la Rc auto, di obbligo a contrarre imposto ex lege alle compagnie di assicurazioni attive in un determinato settore di rischio (per il quale è correlativamente previsto, in capo agli assicurati, l’obbligo normativo di assicurarsi). Ciò rivela la straordinaria funzione sociale attribuita alla copertura del rischio cat nat, nell’ambito di un programma assicurativo che, proprio in forza del congiunto operare di tali obblighi assicurativi, dovrebbe essere attuato in modo penetrante e completo sull’intero territorio nazionale. Quanto alle compagnie di assicurazione tenute a offrire tale copertura, ragionevolmente, dovrebbero essere individuate in quelle abilitate a operare nel ramo VIII (danni), secondo la distinzione amministrativa in rami prevista dall’art. 2 del dlgs 209/2005 (Codice delle assicurazioni private).
La legge si riferisce genericamente alle “imprese di assicurazione”. Ci si interroga se siano soggette all’obbligo a contrarre anche le compagnie operanti in Italia in libertà di stabilimento o in libera prestazione di servizi, a condizione ovviamente che siano autorizzate a operare nel ramo VIII. La norma, al momento, non è ancora stata inserita nell’elenco delle norme di interesse generale individuate da Ivass come applicabili alle imprese con sede in stato membro Ue che operino sul nostro territorio. Per quanto riguarda la Rc auto, ad esempio, l’art. 132 del Cap, dedicato all’obbligo a contrarre, è espressamente richiamato (seppur non integralmente) nelle norme che gli assicuratori operanti in Italia in regime di stabilimento o libera prestazione di servizi sono chiamati a rispettare. Lo schema di decreto estende l’obbligo anche alle imprese con sede in stato membro Ue che operino in regime di stabilimento o libera prestazione di servizi nel nostro paese.
UN CONTRATTO BASE ANCHE PER LE CAT NAT?
Rimane il fatto che la previsione dell’obbligo a contrarre pone il dubbio circa la replicabilità, in questo contesto, di tutta quella serie di impegni e vincoli imposti alle compagnie assicurative operanti nel campo della Rc auto.
Si tratta di comparti tra loro lontanissimi, non venendo qui in linea di conto alcuna esigenza di copertura di responsabilità civile. Peraltro, anche per le garanzie cat nat, l’adempimento dell’obbligo a contrarre esclude la possibilità che lo stesso sia, di fatto, eluso, proponendo soluzioni di garanzia riduttive o inadeguate o, peggio, repulsive (quanto alla quotazione del premio, tariffato in eccesso al fine di respingere rischi sgraditi). È ragionevole immaginare che, pur nel rispetto della libertà di azione di ogni singola impresa, la decretazione attuativa contribuisca a delineare le coordinate minime che dovranno inderogabilmente integrare un modello di contratto base da proporre a ciascuna impresa. Contratto che gli assicurati dovranno poter liberamente acquistare presso ogni impresa attiva nel settore, senza esser condizionati da proposte commerciali diverse, di più o meno ampia portata. È questo, tra l’altro, il tema del cosiddetto divieto di abbinamento, espressamente disciplinato nell’assicurazione della Rc auto, proprio a presidio del corretto adempimento dell’obbligo a contrarre (e del diritto del contraente di non essere forzosamente orientato ad acquistare, unitamente alla copertura obbligatoria, altre garanzie non richieste). Vi è dunque da chiedersi se sia consentito prevedere, by default, l’abbinamento della garanzia base con coperture aggiuntive (ad esempio, danni indiretti o evento grandine). La risposta pare dover essere data in termini negativi. Le coperture aggiuntive dovranno comunque essere ragionevolmente pensate e costruite come opzionali e puramente facoltative, come del resto previsto, nella Rc auto, dall’art. 170, comma 1, del Cap.
IL MIGLIOR INTERESSE DEL CLIENTE (E IL VALUE FOR MONEY)
A differenza della Rc auto, però, l’abbinamento alla garanzia di base cat nat (il cui perimetro abbiamo visto essere limitato a determinati eventi e a circoscritte tipologie di danno) ad altre coperture integrative sembra da valutarsi in termini estremamente favorevoli, proprio al fine di soddisfare al meglio le esigenze di protezione delle imprese da tutti gli eventi di rischio catastrofale che potrebbero riguardarle. Quel che si vuol dire, insomma, è che mentre nel campo della Rc auto può accadere che un abbinamento di altre garanzie (a quella di base della Rc auto) non sia coerente con (e anzi decorrelato) agli effettivi demands and needs del cliente, nel settore delle cat nat la messa a disposizione dell’utenza di coperture integrative rispetto al più stretto paradigma di legge potrebbe rivelarsi operazione utile, se non commendevole, e del tutto funzionale ai maggiori bisogni di protezione dell’impresa assicurata e dunque alla soddisfazione del best interest della clientela (specie se rispondente a parametri tariffari adeguati, anche in termini di value for money). Ciò rivela, con una discreta eloquenza, la potenziale portata educativa (alla miglior conoscenza e gestione dei propri rischi) del nuovo obbligo di legge, che pone le imprese (specie quelle di piccole dimensioni, frequentemente non assicurate) davanti alla necessità di prendere atto della propria situazione di rischi e all’opportunità di conseguentemente allestire un adeguato programma di copertura.
L’ARMA DELLE SANZIONI
Rimane, tuttavia, da considerare il fatto che l’introduzione dell’obbligo a contrarre pone tutte le compagnie attive nel ramo VIII dinnanzi alla teorica necessità di accogliere ogni richiesta di copertura formulatale dal mondo delle imprese, anche se largamente eccedente il proprio risk appetite. La legge prevede che, in caso di accertamento di violazione o elusione dell’obbligo a contrarre, anche in sede di rinnovo, ,Ivass provvede a irrogare importanti sanzioni amministrative e pecuniarie (da 100mila a 500mila euro).
Si pone dunque il serio problema di comprendere come talune compagnie, che normalmente assicurano gli eventi naturali con formule di garanzia ancillare rispetto ad altre coperture, possano essere capaci di sopportare rischi sottoscrittivi della più varia specie a fronte di richieste provenienti dal mondo delle imprese, in adempimento dei nuovi obblighi assicurativi.
Per questa ragione, la legge prevede (art. 1, comma 103) che le imprese di assicurazione possano offrire la copertura obbligatoria sia assumendo direttamente l’intero rischio, sia in coassicurazione, sia in forma consortile mediante una pluralità di imprese.
In tale ultimo caso il consorzio deve essere registrato e approvato dall’istituto di vigilanza, che ne valuta la stabilità. Il tutto demandando al decreto attuativo, tra l’altro, “le modalità di coordinamento rispetto ai vigenti atti di regolazione e vigilanza prudenziale in materia assicurativa anche con riferimento ai limiti della capacità di assunzione del rischio da parte delle imprese o del consorzio”.
I CONSORZI TRA COMPAGNIE E IL RUOLO DI SACE
È dunque legittimo attendersi la previsione della costituzione di pool consortili i quali, nel rispetto dei principi della libera concorrenza, stabiliscano delle regole utili a consentire la corretta assunzione dei rischi oggetto di garanzia obbligatoria e il riparto, all’interno del pool, dei rischi medesimi in funzione della effettiva capacità di assunzione del rischio da parte delle imprese assicuratrici consorziate (in linea con gli obiettivi di propensione al rischio approvati dai cda delle compagnie con riferimento sia al capitale a rischio, che agli indici di adeguatezza patrimoniale, coerentemente con quanto previsto dal Regolamento 38 di Ivass). L’art. 1, comma 105, detta principi di natura tecnica per la tutela della capacità assuntiva del mercato assicurativo e riassicurativo nazionale e, dunque, la salvaguardia della sostenibilità economico-finanziaria del sistema assicurativo. Nella stessa direzione va il comma 108, prevedendo che Sace, sulla base di una garanzia statale che impegna a carico del bilancio dello Stato cinque miliardi di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026, svolga il ruolo di riassicuratore di ultima istanza, coprendo fino al 50% degli indennizzi: a fronte di un danno di 100 euro, tenuto conto della franchigia del 15%, la compagnia o il sistema assicurativo interverrebbero per il 42,5% trasferendo l’ulteriore 42,5% a Sace. Il decreto attuativo conterrà alcune prescrizioni specificative dell’operatività della riassicurazione da parte di Sace, dettando anche i termini della convenzione che il riassicuratore statale potrà stipulare con le compagnie di assicurazione, in forma diretta o tramite le strutture consortili cui le stesse compagnie di assicurazione decidano di aderire.
IL SETTORE ASSICURATIVO RACCOLGA LA SFIDA
Molto, ovviamente, rimane da scrivere e le complessità applicative non saranno poche, in concreto. Rimaniamo dunque in attesa di comprendere in che termini la decretazione attuativa potrà, nei tempi ristretti previsti dalla normativa primaria, fornire le linee e i criteri operativi indispensabili a tradurre in concreto, e render funzionale sull’intero territorio nazionale, i nuovi obblighi assicurativi.
Non pare del tutto condivisibile lo scetticismo col quale alcuni commentatori stanno affrontando l’argomento, ritenendo che in buona parte del territorio nazionale l’obbligo potrebbe rimaner declinato sulla carta e sostanzialmente inadempiuto (in mancanza di specifiche sanzioni a carico delle imprese tenute ad assicurarsi). Riteniamo, invero, che a fronte di un obbligo di fonte legale la scelta di non conformarsi alle prescrizioni normative possa dar luogo a precise responsabilità in capo alle cariche apicali dell’impresa inadempiente. Responsabilità che potrebbero scatenare azioni risarcitorie nei loro confronti ogni qualvolta l’impresa medesima rimanga colpita da eventi non coperti o, comunque, subisca le perdite derivanti dall’impossibilità di accedere a contributi o sostegni finanziari pubblici. Ciò dovrebbe contribuire a indurre tutti gli stakeholder ad affrontare il tema in modo cauto, maturo e socialmente responsabile.
Si tratta, certo, di un primo passo verso un più ampio e trasversale approccio risk based a un tema collettivo (quello dei cambiamenti climatici e dei correlati pericoli sociali) non ulteriormente differibile. Tutto sarà perfettibile. Ma il segnale è forte, e il mondo assicurativo dovrà rivelarsi in grado di raccogliere la sfida.
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