presentato da
BONELLI Angelo
testo di
Mercoledì 8 gennaio 2025, seduta n. 405
La Camera,
premesso che:
il 13 settembre 2023, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo, ricordava come le tre sfide europee, l’occupazione, l’inflazione e il contesto imprenditoriale, si fossero presentate in un momento in cui l’Europa chiede anche all’industria di svolgere un ruolo di primo piano nella transizione verde;
su richiesta della Commissione europea Mario Draghi nel settembre 2024 presentava al Parlamento europeo il Rapporto «Il futuro della competitività europea». Il rapporto è un documento nel quale vengono indicati i nodi di carattere istituzionale e politico che occorre affrontare per porre l’Unione europea in condizione di poter meglio competere con grandi realtà politico-economiche già esistenti e con quelle emergenti. Il rapporto è uno spaccato della situazione economica in Europa, nel quale, ad esempio, si evidenzia che sulle 50 più importanti società tecnologiche mondiali, solo quattro sono europee, e viene evidenziato il divario di crescita tra UE e Stati Uniti, l’aumento della competizione con la Cina e la mancanza di presenza europea nel settore tecnologico;
la proposta complessiva di Draghi è quella di affrontare la temperie politica ed economica di cui stiamo vivendo le prime fasi con una decisa accelerazione sul piano dell’integrazione europea. Tre sono le macroaree di intervento individuate e le conseguenti azioni: a) colmare il divario tecnologico dell’Europa rispetto a Usa e Cina; b) elaborare un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività; c) aumentare il livello di sicurezza europea e ridurre le dipendenze rispetto all’esterno, si propone di promuovere l’innovazione così come di ridurre i costi e le dipendenze nel settore dell’energia e della difesa. La Presidente Ursula von der Leyen ha già dichiarato la sua volontà di dare seguito alle raccomandazioni contenute nel rapporto;
nel rapporto però l’essenziale e primario tema delle diseguaglianze non assume alcuna centralità, poco o nulla viene detto riguardo la domanda di sanità, di migliori servizi pubblici, come poco o nulla c’è riguardo l’occupazione e la necessità di garantire una crescita in grado di ridurre le disuguaglianze e aumentare l’inclusione sociale; così come nulla viene evidenziato in relazione alla necessaria armonizzazione fiscale, al contrasto del dumping fiscale praticato da alcuni Paesi UE, nonché alla necessità di imposizione fiscale sugli extra profitti e sui grandi patrimoni;
riguardo al settore dell’energia, il terzo capitolo del rapporto Draghi approfondisce gli aspetti connessi alla necessità dell’Europa di affrontare alcune scelte fondamentali su come portare avanti il proprio percorso di decarbonizzazione preservando, tuttavia, la posizione competitiva della sua industria. Nel rapporto si sottolinea inoltre come gli alti costi dell’energia in Europa siano un ostacolo alla crescita e influenzino gli investimenti delle imprese molto di più che in altre grandi economie. Sotto questo aspetto la decarbonizzazione offre all’Europa l’opportunità di ridurre i prezzi dell’energia e di assumere un ruolo guida nelle tecnologie pulite («clean tech»), diventando al contempo più sicura in termini energetici;
è importante che venga ribadita la necessità che la UE persegua l’obiettivo della riduzione dei costi dell’energia per gli utenti finali, accelerando la decarbonizzazione nel settore energetico in modo efficiente mediante il ricorso alle energie rinnovabili, l’efficienza e il risparmio energetico, così come è condivisibile la necessità di dover semplificare e snellire le autorizzazioni e i processi amministrativi per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili. Il rapporto individua espressamente come ulteriore obiettivo centrale, l’accelerazione della decarbonizzazione in modo efficiente dal punto di vista dei costi adottando un approccio tecnologicamente neutrale, che include però tra le soluzioni disponibili anche il nucleare e lo stoccaggio della CO2;
non è condivisibile la dichiarata necessità di puntare anche sul nucleare nel mix energetico a cui la UE dovrà sempre più fare riferimento. Nella sezione relativa all’energia, contenuta nella parte B del rapporto, si propone infatti di mantenere l’approvvigionamento nucleare e accelerare lo sviluppo del «nuovo nucleare» (compresa la catena di approvvigionamento nazionale). Il rapporto però in questa analisi dimentica – tra l’altro – gli alti costi di questa energia, e che attualmente, il costo dell’energia nucleare in Europa supera i 170 euro/MWh. Il rapporto trascura infatti di ricordare che in Europa, a partire dalla Francia, il nucleare è finanziato dallo Stato. I dati dicono che il nucleare porta alla triplicazione dei costi dell’energia come dimostra l’accordo franco inglese che ha sterilizzato il prezzo dell’energia nucleare a 170 euro/Mwh. Tra 2009 e il 2022, i costi di produzione dell’energia onshore e del solare sono diminuiti rispettivamente del 70 per cento e del 90 per cento, mentre quelli del nucleare sono aumentati del 33 per cento;
il nucleare non è la risposta né per la competitività economica perché triplicherebbe i costi dell’energia per imprese e famiglie, né per la transizione ecologica perché sottrarrebbe investimenti alle rinnovabili e non sarebbe una soluzione per la decarbonizzazione visti i tempi lunghissimi per la realizzazione delle centrali, mentre la crisi climatica necessita di risposte oggi;
va valutata negativamente la proposta del rapporto, di estendere dette misure di semplificazione e accelerazione anche alla cattura e allo stoccaggio della CO2, in quanto questa tecnologia consente di fatto di continuare a estrarre idrocarburi e a perpetrare la produzione di gas serra, ritardando o compromettendo l’indispensabile conversione energetica a cui si deve puntare attraverso le energie rinnovabili;
positivo è invece l’esplicito riferimento alla necessità di accelerare sulle energie rinnovabili. Sotto questo aspetto il rapporto sottolinea come, senza un aumento della rapidità di erogazione di autorizzazioni per l’installazione, la maggior offerta di finanziamenti per diffondere l’energia pulita non potrà produrre i risultati desiderati, tra cui una più rapida installazione di nuova capacità;
il rapporto evidenzia inoltre come in Europa il sostegno pubblico alla transizione sia troppo limitato, e come le industrie ad alta intensità energetica soffrano attualmente la mancanza di sostegno pubblico per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e investire in combustibili sostenibili. Si propone quindi di destinare una quota maggiore dei proventi del sistema Ets alle industrie ad alta intensità energetica (Eii) e utilizzare tali proventi anche per sostenere la decarbonizzazione del settore dei trasporti;
affinché l’UE guidi la decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica sono necessarie risorse finanziarie sufficienti. Secondo il rapporto, la decarbonizzazione, infatti, costerà complessivamente 500 miliardi di euro alle quattro maggiori Eii (chimica, metalli di base, minerali non metalliferi e carta) nei prossimi 15 anni, mentre per le parti più «difficili da abbattere» del settore dei trasporti (marittimo e aereo) il fabbisogno di investimenti è di circa 100 miliardi di euro all’anno dal 2031 al 2050;
tra le principali aree di intervento individuate dal rapporto, vi è quella di ridurre i prezzi elevati continuando, al contempo, il processo di decarbonizzazione e di transizione a un’economia circolare. Il rapporto propone quindi un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività, in quanto ritiene che l’UE possa assumere un ruolo di guida nelle nuove tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, a condizione che tutte le politiche europee siano in sintonia con gli obiettivi di decarbonizzazione;
il rapporto Draghi ricorda inoltre come i trasporti siano responsabili di un quarto di tutte le emissioni di gas serra e come il settore automobilistico, sia un esempio centrale di mancata pianificazione da parte dell’UE, che applica una politica climatica senza una politica industriale; nonostante l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2035 porterà di fatto a mettere gradualmente fine alle nuove immatricolazioni di veicoli con motori a combustione interna, a favore di una rapida penetrazione dei veicoli elettrici sul mercato, l’UE non ha però dato seguito a queste ambizioni con una spinta sincronizzata verso la conversione della catena di fornitura. Le aziende europee, di conseguenza, stanno già perdendo quote di mercato. La quota di mercato delle case automobilistiche cinesi per i veicoli elettrici in Europa è passata dal 5 per cento nel 2015 a quasi il 15 per cento nel 2023, mentre la quota di case automobilistiche europee nel mercato dell’Ue dei veicoli elettrici è scesa dall’80 per cento al 60 per cento;
al di là del rapporto Draghi, va comunque evidenziato che, in questa fase di difficoltà complessiva del settore dell’automotive, una iniziativa importante potrà essere data dall’avvio di un «Dialogo strategico sul futuro dell’industria automotive europea», che la Presidente Ursula von der Leyen, il 27 novembre 2024 ha annunciato in Parlamento europeo, e che inizierà ufficialmente a gennaio 2025. L’obiettivo è quello di identificare e implementare rapidamente le misure necessarie per affrontare la transizione verde del settore. L’iniziativa coinvolgerà attivamente tutti gli attori principali dell’industria automobilistica, comprese le aziende automobilistiche, i fornitori, i sindacati e le associazioni imprenditoriali, con l’obiettivo di definire strategie concrete per affrontare le sfide più urgenti del settore. Riteniamo decisivo che al centro del dialogo strategico vi debba essere la conferma dei tempi previsti della transizione elettrica in linea con gli obiettivi climatici dell’Unione europea, ovviamente tutto questo potrà avvenire se si riesce ad aumentare la competitività internazionale anche attraverso un rafforzamento delle risorse finanziarie per il settore e per la resilienza della filiera produttiva dell’automotive;
questo è ancora più indispensabile anche alla luce del fatto che i mercati globali attualmente sono invasi da auto cinesi a buon mercato i cui prezzi sono mantenuti bassi artificialmente grazie a ingenti sovvenzioni statali, con tutto quello che ciò comporta in termini di distorsioni sul nostro mercato; nel frattempo, mentre il Governo italiano vorrebbe allungare oltre il 2035 lo stop UE alla vendita di auto e furgoni non a emissioni zero, la Norvegia ha già raggiunto quota 88,9 per cento di nuove immatricolazioni solo elettriche;
purtroppo con il nuovo Parlamento europeo si è avuto come primo risultato quello di veder mettere in discussione il Green deal e gli obiettivi ambientali già stabiliti dalla UE, ossia l’ambizioso progetto europeo per rivoluzionare l’economia del Vecchio continente nel nome dell’ecologia e della sostenibilità;
tra i primi provvedimenti decisi in ambito UE ad essere messi in discussione vi è sicuramente quello relativo ai modi e tempi per l’uscita di produzione delle auto a motore endotermico; la rivoluzione dell’auto elettrica in Europa deve invece rimanere un punto fermo e bisogna tenere fermi gli obiettivi fissati dal Green deal e dal percorso di decarbonizzazione deciso in sede UE;
il Green deal e la transizione all’elettrico devono continuare ad essere il faro della reindustrializzazione anche del settore dell’automotive, ma è evidente che per competere ai massimi livelli in un mondo sempre più rivolto all’elettrificazione serve una politica industriale nazionale ed europea pragmatica ed efficace, che aiuti la filiera a evolversi e a innovare e sostenga il mercato delle nuove tecnologie;
è preoccupante l’ampio spazio che viene dedicato dal rapporto alle spese militari, alla difesa e alla sicurezza europea e alla necessità di un loro maggiore finanziamento, ritenute il volano per un ruolo internazionale dell’Unione europea, e questo anche se, va ricordato, nel 2014 l’Europa spendeva in armamenti 211 miliardi di dollari, mentre il 2024 si chiude con una spesa di 476 miliardi di dollari;
nel rapporto l’industria bellica gioca un ruolo importante, non solo in quanto tale, ma in modo trasversale, con riferimento anche alla ricerca spaziale, ai trasporti e a quant’altro ne incroci le necessità, la difesa europea è individuata nel rapporto come un settore decisivo per assicurare l’autonomia strategica della UE di fronte a pericoli crescenti, sia con riferimento alla guerra in Ucraina, sia in altri scacchieri internazionali, nonché al settore trainante dell’innovazione tecnologica;
è evidente la netta contrarietà alla ricetta proposta dal rapporto Draghi per favorire la competitività europea, laddove propone un aumento del livello attuale della spesa militare e per la difesa; il futuro del nostro continente non può essere costruito sull’aumento delle spese militari, ma è necessario investire queste ingenti e sempre maggiori risorse per garantire sempre di più la sostenibilità ambientale, sociale ed economica dell’Europa;
riguardo al tema del finanziamento dell’economia, così come quello degli investimenti comuni e del sostegno a politiche industriali comuni, il rapporto sottolinea come «per massimizzare la produttività, sarà necessario un finanziamento congiunto negli investimenti in beni pubblici europei fondamentali, come per esempio i settori più innovativi»;
per raggiungere gli obiettivi indicati nel medesimo rapporto e per produrre una svolta servono ingenti risorse. Il rapporto stima il fabbisogno finanziario necessario all’UE per raggiungere i suoi obiettivi in almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, pari al 4,4-4,7 per cento del Pil dell’UE nel 2023. Per fare un confronto, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2 per cento del Pil dell’UE. La quota di investimenti dell’UE dovrebbe passare dall’attuale 22 per cento circa del Pil a circa il 27 per cento;
è quindi da valutare positivamente, la necessità che l’Unione europea si orienti verso l’emissione regolare di strumenti di debito comune per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri così come è stato fatto con il NextGenerationEU, rinviando il rimborso del NGEU;
per essere competitiva sicuramente l’Europa ha bisogno di più investimenti comuni, in particolare nei settori legati alla transizione verde e alla decarbonizzazione dell’economia europea;
è condivisibile quindi la sollecitazione del rapporto a finanziare importanti progetti d’investimento anche attraverso il ricorso all’emissione di nuovo debito comune europeo. È infatti evidente che solo creando risorse comuni che sostengano un piano di politiche industriali continentali, saremo in grado come Europa di poter competere con i continenti asiatico e americano,
impegna il Governo:
1) a non sostenere l’attuazione delle misure proposte dal rapporto Draghi volte ad aumentare le risorse europee per l’acquisto di armi e per l’apparato militare europeo;
2) a farsi promotore e sostenere le opportune iniziative in ambito UE volte a individuare quanto prima strumenti di debito comune, come si è fatto con il NextGenerationEU dopo la pandemia, per garantire il sostegno pubblico e il finanziamento di progetti di investimento congiunti in alcuni ambiti strategici quali la decarbonizzazione, la transizione ecologica e digitale, politiche industriali sostenibili, al fine di poter competere con i continenti asiatico e americano;
3) a mettere in atto in ambito nazionale e in ambito UE politiche espansive volte a sostenere la crescita economica e l’industria europea in un contesto di transizione ecologica e digitale al fine di favorire la crescita economica e l’occupazione e ridurre le disuguaglianze sociali;
4) ad adottare iniziative volte a sostenere, anche in ambito UE, gli investimenti del settore dell’automotive per garantire nei tempi e modi attualmente previsti la transizione all’elettrico, e a farsi promotore di un piano per la gestione a livello europeo della transizione ecologica con strumenti comuni per salvaguardare l’occupazione anche dell’indotto e mantenere la capacità produttiva degli stabilimenti dell’automotive;
5) in ambito nazionale, ad adottare iniziative volte a ripristinare la dotazione del fondo automotive tagliato dal Governo, riportandolo almeno alla dotazione finanziaria esistente prima del taglio apportato con la legge di bilancio 2025-2027;
6) a sostenere le iniziative europee volte ad accelerare – come auspicato dal rapporto di cui in premessa – i processi di decarbonizzazione e lo sviluppo delle energie rinnovabili, anche attraverso una semplificazione e snellimento delle autorizzazioni e dei processi amministrativi per garantire la diffusione delle energie rinnovabili;
7) a contrastare la proposta evidenziata dal rapporto Draghi, di puntare anche sul nucleare nel mix energetico a cui la UE dovrà sempre più fare riferimento;
8) ad assumere iniziative contrarie alla proposta di introdurre misure di favore per la cattura e lo stoccaggio della CO2, in quanto questa tecnologia consente di fatto di continuare a estrarre idrocarburi e di perpetrare la produzione di gas serra, ritardando o compromettendo l’indispensabile conversione energetica a cui si deve puntare;
9) ad avviare le opportune iniziative, in ambito nazionale e dell’Unione europea, per garantire risorse per la decarbonizzazione e uno specifico sostegno per quei settori produttivi che, per le specifiche caratteristiche produttive, hanno oggettive difficoltà ad abbattere le emissioni e a riconvertirsi, con conseguenze negative in termini economici e occupazionali;
10) ad adottare le necessarie iniziative finalizzate a prevedere anche in ambito europeo una revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, anche in funzione delle emissioni di gas a effetto serra, individuando misure per l’orientamento del mercato verso modelli di produzione sostenibili.
(1-00384) «Bonelli, Ghirra, Zanella, Borrelli, Dori, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».
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