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Economia, la Toscana resiste ma è troppo dipendente dall’export #finsubito prestito immediato


TOSCANA – La Toscana continua ad essere resiliente, ma la fotografia scattata dall’Istituto regionale per la programmazione economica è un “bicchiere mezzo pieno che si sta lentamente svuotando”, soprattutto perché siamo troppo dipendenti dall’export. È quanto ha dichiarato il direttore di Irpet Nicola Sciclone in commissione Bilancio del Consiglio regionale, guidata da Giacomo Bugliani (Pd), illustrando il Rapporto Fattori di vulnerabilità e velocità di crescita: cosa accadrà all’economia toscana?

L’analisi annuale, già presentata in Giunta lo scorso 15 luglio, dimostra che la crescita toscana resiste “ma è troppo lenta rispetto al debito accumulato”. Il declino demografico continua inesorabile, tanto che nel prossimo decennio perderemo circa 90mila lavoratori. Nel raffronto tra domanda e offerta le cose non migliorano: sempre nel prossimo decennio le uscite di forza lavoro saranno in eccesso rispetto ai nuovi ingressi.

Altro tema centrale del rapporto è la questione salari, “fermi da molti anni. La domanda interna, e quindi l’economia, cresce se crescono gli stipendi”, ha osservato Sciclone spiegando: “I salari non sono cresciuti perché non è cresciuta la produttività. I profitti non sono stati trattenuti nella pancia del sistema”.

A detta del direttore, e anche rispondendo alle sollecitazioni dei consiglieri Marco Casucci (Lega) e Valentina Mercanti (Pd), interessati
a capire quali possono essere le strategie da mettere in campo e come riannodare il rapporto tra politica ed economia che evidentemente resta ancora slegato, oltre a ripensare il concetto di globalizzazione serve spingere sul fronte investimenti. “Per accrescere la capacità di trattenere dentro il sistema economico la maggior parte degli stimoli che arrivano dalla domanda finale, occorrerebbe un forte rilancio degli
investimenti che tuttavia, nonostante il contributo da parte del PNRR, non sembrano allo stato attuale raggiungere una dimensione tale da invertire la fragilità strutturale dell’economia italiana”, si legge nel Rapporto.

“Ci sono – ha aggiunto Sciclone – settori strategici (e tra quelli citati il farmaceutico, l’agroalimentare, la produzione di energia) che converrebbe sostenere e accrescere in termini di capacità produttiva”. Sono bisogni che il direttore ha definito “più fondamentali di altri”, che nel ripensamento del concetto di globalizzazione dovrebbero essere accompagnati con maggiore vigore, “non tanto per chiudere i rapporti con l’estero, ma per contrastare la perdita di valore”, ha concluso.

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