Milano – “Secondo me, se Banca Progetto prendeva il mio nome e cognome, faceva una … diceva ‘lasciamo stare tutto’”. È una dichiarazione, emblematica secondo i giudici di Milano, resa in un’udienza lo scorso 14 marzo da Maurizio Ponzoni, ritenuto vicino a una cosca della ‘ndrangheta e che avrebbe ottenuto, attraverso società a lui riconducibili, 10 milioni di euro di finanziamenti con garanzia statale da Banca Progetto Spa, l’istituto di credito milanese oggi finito in amministrazione giudiziaria.
La Sezione misure di prevenzione del Tribunale meneghino spiega che per quei finanziamenti “il meccanismo di concessione” era sempre lo stesso. Era lo stesso Ponzoni a relazionarsi”direttamente” coi funzionari della banca. Lui, tra l’altro, formalmente “nulla” aveva a che fare con le società finanziate e, dunque, i funzionari avevano “ben chiaro che il vero referente-destinatario” dei prestiti era lui. E non hanno comunque “attivato alcun controllo sulla sua persona”.
Sarebbe bastata, come ha detto lo stesso Ponzoni, una “semplice consultazione” da “fonti aperte”, anche perché i media “diffusamente” avevano parlato del suo arresto nel marzo 2023. Malgrado ciò, si legge ancora negli atti, Banca Progetto ha concesso prestiti a “Cfl Costruzioni srl” per 2,5 milioni di euro il 31 maggio 2023, a “Crocicchio srl” per quasi 2 milioni il 6 giugno, a Givi srl per mezzo milione il 13 ottobre dello stesso anno. Tutte società legate, stando alle indagini, all’arrestato.
Come risulta dagli atti Enrico Barone, sodale di Ponzoni, è stato condannato lo scorso giugno dal Tribunale di Busto Arsizio (Varese) a 11 anni di reclusione per bancarotta con l’aggravante mafiosa, mentre Ponzoni ha patteggiato nel dicembre 2023. E sono entrambi indagati in un procedimento per “trasferimento fraudolento di valori” con aggravante mafiosa. Sempre Ponzoni, lo scorso aprile, è stato sottoposto a misura di prevenzione per “pericolosità sociale” e gli sono stati sequestrati immobili, intestati a prestanome e alla sua compagna, per milioni di euro.
Ponzoni, sempre stando agli atti, avrebbe agito per “agevolare” la cosca della ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, tra Milano e Varese. Sarebbe stato in “apporti d’affari”, in particolare, con Vincenzo Rispoli, noto capo clan della ‘locale’ del Basso Varesotto e coinvolto nei più importanti processi contro la ‘ndrangheta in Lombardia, e con Massimo Murano, anche lui condannato per associazione mafiosa. Sarebbero almeno nove, come risulta dal provvedimento del Tribunale, le società riconducibili a Ponzoni e Barone che avrebbero ottenurto i prestiti dalla banca milanese.
D’altra parte, nel decreto di amministrazione giudiziaria, della durata di un anno, si sottolinea un modus operandi di Banca Progetto “opaco e discutibile che di fatto ha integralmente trasferito il rischio di insolvenza – in concreto verificatosi – sullo Stato, atteso che per la pressoché totalità dei finanziamenti scrutinati è stata attivata” la garanzia del Fondo Medio credito centrale, “con ciò determinando il paradosso che il denaro confluito nelle casse della consorteria criminale risulta di provenienza statale“.
“Il meccanismo è stato colposamente alimentato – sottolineano le giudici Pendino-Cucciniello-Profeta – dall’istituto di credito che non ha adeguatamente verificato le credenziali dei richiedenti il prestito tanto sotto il profilo della reale capacità imprenditoriale delle società (nemmeno vi era coincidenza tra quanto dichiarato e quanto rilevato in occasione dei sopralluoghi di cui si da conto) che dei singoli soggetti”.
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