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Ex Ilva e decarbonizzazione, primi passi. Dri Italia e preridotto: c’è la firma #finsubito prestito immediato


Accordo per la costruzione dell’impianto del preridotto di ferro nel siderurgico di Taranto. Obiettivi, la decarbonizzazione dell’acciaio del futuro, il taglio delle emissioni di CO2 e un minor uso del carbone nel ciclo di produzione. C’è un miliardo di euro a disposizione per quest’impianto. Non siamo ancora alla svolta green, ci vorrà tempo per vederla e, soprattutto, dipenderà dai piani del prossimo acquirente della fabbrica, ma qualcosa si comincia a vedere. L’intesa è stata firmata dai commissari delle amministrazioni straordinarie di Acciaierie d’Italia e di Ilva e dai vertici di Dri d’Italia. Nell’ordine, la prima è la società che ha in gestione gli impianti, la seconda è la proprietà e la terza, infine, è quella (pubblica, controllata da Invitalia) a cui già il Governo Draghi delegò l’operazione preridotto a Taranto. Di preridotto se ne produrranno 2,5 milioni di tonnellate l’anno e alimenteranno i futuri forni elettrici dell’ex Ilva previsti in attività nel 2027 – salvo rinvii – con una capacità complessiva di 4 milioni.

A Taranto il processo di preriduzione sarà effettuato attraverso il gas e per una quota minore, 10 per cento, attraverso l’idrogeno verde. Contrariamente ai forni elettrici delle aziende siderurgiche del Nord che si alimentano di rottame di ferro, il preridotto di Taranto sarà ricavato dal minerale. Questo farà sì che pure con i forni elettrici l’ex Ilva potrà continuare a fornire i propri clienti industriali e a produrre acciaio per le auto. L’automotive, ha spiegato il commissario AdI, Giancarlo Quaranta, in occasione delle recentissime visite in fabbrica dei ministri Adolfo Urso (Imprese) e Marina Calderone (Lavoro), ha infatti bisogno dello stampaggio profondo che i forni elettrici che vanno avanti a rottame non possono assicurare.

Il miliardo di euro non è nuovo. Lo mise a disposizione l’allora premier Mario Draghi inserendolo nel Pnrr e affidandolo a Dri d’Italia, società costituita ad hoc per il preridotto (presidente Franco Bernabè, ad Stefano Cao). Il Governo Meloni però lo ha tolto dal Pnrr e lo ha ricollocato dopo qualche tempo nel Fondo sviluppo e coesione. La cancellazione dal Pnrr provocò allora molte proteste. Fu infatti interpretata come una brusca frenata sulla decarbonizzazione, anche perché ad agosto 2023 Dri d’Italia aveva assegnato l’appalto dell’impianto alle società Paul Whurt e Midrex. In realtà il Governo ha poi spiegato che il passaggio dal Pnrr al Fsc aveva un solo scopo: evitare che il miliardo del Pnrr, avvicinandosi il 2026 e non essendo ancora avviata la costruzione dell’impianto, potesse saltare. Anche perché c’era stata un’iniziale ostilità di Acciaierie d’Italia vecchia gestione (ArcelorMittal con ad Lucia Morselli) su chi dovesse gestire l’operazione.

Con l’avvento dei commissari in Acciaierie a febbraio scorso, il discorso con Dri d’Italia è stato ripreso e si è giunti all’accordo di ieri, costruito dopo una serie di incontri. Tuttavia non siamo ancora alla spesa del miliardo di euro, né all’avvio del cantiere. E non lo siamo in quanto i fondi sono nelle mani del ministero dell’Ambiente che deve ancora definire – le trattative sono in corso – una convenzione ad hoc con Dri d’Italia, il cui testo probabilmente non vedrà la luce prima della conclusione del giudizio al Consiglio di Stato. L’appalto assegnato nell’estate 2023 è stato infatti bloccato da un ricorso al Tar di Lecce – è scesa in campo anche la Danieli di Udine che aveva presentato un’offerta concorrente – e ora in appello il 21 novembre si dovrà sciogliere il nodo della procedura di gara e decidere se assoggettare la costruzione dell’impianto al Codice degli appalti.

Dri costruirà l’impianto di preriduzione e sceglierà la tecnologia, mentre sui forni elettrici la palla è nelle mani di quella che sarà la nuova proprietà di Acciaierie. In tre su quindici hanno chiesto, con le manifestazioni di interesse, tutto il gruppo e sulla decarbonizzazione il bando di gara dice che non considerarla nel processo produttivo, determinerà l’esclusione dell’offerta vincolante.

L’accordo raggiunto, si spiega in una nota, “è un passo importante verso la decarbonizzazione che sarà completata da chi acquisterà il complesso. Gli studi di fattibilità condotti ipotizzano che lo stabilimento possa assicurare all’impianto la disponibilità delle infrastrutture per stoccaggio e trasporto del minerale di ferro e di fluidi ausiliari. La costruzione del nuovo impianto – si afferma – si inserisce nel processo di valorizzazione di Acciaierie d’Italia in AS e sarà realizzata da Dri d’Italia nel rispetto delle tempistiche previste dal piano di decarbonizzazione del sito produttivo di Taranto. A tale scopo, AdI in AS, valuterà la necessità di eventuali interventi di adeguamento delle infrastrutture in gestione, come, ad esempio, possibili migliorie ai parchi minerari”.

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