Sentenza di recente pubblicazione della Corte di Cassazione, che ha confermato le condanne a carico di diversi imputati, coinvolti in un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. Gli eventi giudiziari ruotano attorno ad Alfredo Papa, riconosciuto capo dell’organizzazione, e ad altri coimputati, tra cui Francesco Antonio Coccia, Antonio Valerio Pietrosanto e Francesco Ricci.
Una rete criminale consolidata
L’inchiesta, avviata dal Tribunale di Bari e culminata nella sentenza della Corte d’Appello nel 2022, ha dimostrato come i quattro imputati avessero creato un’organizzazione complessa, radicata a Lucera e con collegamenti estesi in diverse zone d’Italia. L’organizzazione era coinvolta nella compravendita di grandi quantitativi di stupefacenti, tra cui marijuana, cocaina e hashish, provenienti da canali di approvvigionamento legati alla criminalità campana e pugliese.
Al centro dell’attività criminale vi era Alfredo Papa, riconosciuto come promotore e capo dell’associazione, che si avvaleva della collaborazione di Ricci e Pietrosanto per movimentare e distribuire la droga sul territorio. Coccia, invece, svolgeva un ruolo di intermediario e custode dello stupefacente.
Le prove e il quadro indiziario
L’attività investigativa, basata principalmente su intercettazioni telefoniche, ambientali e pedinamenti, ha rivelato una struttura gerarchica all’interno del gruppo. Fondamentali per la condanna sono stati i colloqui intercettati tra gli imputati, che confermavano l’esistenza di una cassa comune per finanziare le attività del sodalizio e la mutua assistenza tra i membri, anche in caso di difficoltà legali. Una delle intercettazioni più rilevanti risale al 5 aprile 2016, quando il gruppo discuteva dell’acquisto di cocaina per un valore di 40.000 euro, un quantitativo che sarebbe stato fornito dal clan «Cesarano», attivo a Pompei.
Le indagini hanno inoltre mostrato l’organizzazione di viaggi per l’acquisto di stupefacenti, come quello in Campania che ha coinvolto Ricci, Pietrosanto e Papa. Questi viaggi erano accompagnati da rigide misure di sicurezza, come l’uso di auto “staffetta” per evitare controlli da parte delle forze dell’ordine.
Le difese degli imputati
I difensori degli imputati, nella fase di appello, hanno contestato la configurazione del reato di associazione per delinquere, sostenendo che si trattasse di un mero concorso di persone, senza l’affectio societatis tipica di una struttura associativa stabile. In particolare, la difesa di Alfredo Papa ha cercato di ridimensionare il suo ruolo di vertice, affermando che i suoi contatti con gli altri membri dell’organizzazione fossero sporadici e che non esistesse una gerarchia chiara.
Francesco Antonio Coccia, dal canto suo, ha sostenuto di non essere parte integrante dell’associazione, limitandosi a custodire lo stupefacente in un solo episodio. Anche Antonio Valerio Pietrosanto e Francesco Ricci hanno cercato di ridurre la loro responsabilità , affermando che il loro coinvolgimento era occasionale e legato solo a specifici episodi di cessione di droga.
La sentenza
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto i ricorsi degli imputati, confermando le sentenze precedenti. Ha rilevato come il quadro probatorio fosse sufficiente a dimostrare l’esistenza di una struttura associativa con ruoli ben definiti e una continuità nelle attività criminali. La Cassazione ha inoltre sottolineato che la presenza di una cassa comune, l’uso di telefoni dedicati e la costante collaborazione tra i membri dell’organizzazione erano elementi chiave per provare il vincolo associativo.
Alfredo Papa è stato condannato a 14 anni di reclusione, mentre Francesco Antonio Coccia ha ricevuto una pena ridotta in appello a 5 anni e 6 mesi. Pietrosanto e Ricci sono stati condannati a pene di circa 5 anni. La sentenza ha inoltre confermato la confisca di alcuni beni e conti correnti riconducibili agli imputati, sebbene siano stati dissequestrati alcuni immobili in favore degli aventi diritto.
Questa sentenza rappresenta un importante tassello nella lotta alla criminalità organizzata legata al traffico di stupefacenti, dimostrando come la collaborazione tra diverse procure e forze di polizia possa portare a smantellare reti criminali complesse. Il caso Papa e il suo gruppo evidenziano come la giustizia, attraverso l’uso di tecnologie investigative avanzate come intercettazioni e pedinamenti satellitari, possa individuare e fermare attività illegali che minacciano la sicurezza pubblica.
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